Il lungo viaggio verso…

Ho deciso di postare questo video perchè quando nella nostra scuola si parla di fare aikido si tende a ciò che è rappresentato in questo breve embukai.

La pulizia, l’eleganza, il senso del bello che traspare nei movimenti del Maestro Fujimoto e dei suoi uke sono le qualità che (magari invano) cerchiamo quotidianamente di fare nostre.

Il cammino è lungo, forse per molti la meta è irraggiungibile, di sicuro è comodo prendere strade più facili e molti lo fanno.

Altri si godono il percorso…

Aikido agli istituti superiori, prove tecniche di dojo.

Una realtà assodata è che l’Aikido è semi sconosciuto, spesso la pratica è incompresa nei contenuti tecnici e nel messaggio filosofico, è compito degli insegnanti diffonderlo e farlo conoscere in tutti i modi.
Era il mese di Ottobre 2011 quando ho interpellato una professoressa di un liceo cittadino alle prese con una lezione di educazione fisica nei pressi dell’entrata del dojo proponendole dei cicli di quattro lezioni gratuite da svolgersi in dojo per introdurre e far conoscere l’aikido agli studenti, la collaborazione è stata ben accolta e questo mi ha portato a cercare contatti con altri istituti con risultati molto soddisfacenti.

Ho voluto coinvolgere le studentesse e gli studenti della scuola superiore in un esperimento che potesse essere di aiuto per me nello studio di un approccio  verso delle persone non particolarmente interessate alla disciplina e per loro nella conoscenza di un aspetto realistico di quelle che sono le arti marziali sopravvissute alla trasformazione in sport.

Il tempo a disposizione in questi casi è sempre poco, troppo poco anche solo per definire l’Aikido, l’unica via da seguire è provare a muoversi, fare un tentativo fisico di porre in atto delle tecniche , di volta in volta affiorano esempi e metafore che aiutano a capire meglio la natura della pratica di una delle più importanti e sfaccettate discipline marziali.

La sperimentazione continua e l’interessamento di altre professori fa ben sperare per il futuro, invito chiunque a mettersi in contatto con la nostra scuola se ci fosse la volontà ad aderire a questa iniziativa, di qualsiasi istituto si tratti.

Alla fine delle quattro lezioni l’unica cosa che chiedo agli studenti è un breve commento in calce a questo articolo, spero di riceverne e non solamente a favore.

Marco “Cosimo” D’Amico Sensei a Pordenone.

Nei giorni 5 e 6 Marzo prossimi sarà ospite sul nostro tatami per condurre uno stage il maestro Marco D’Amico 3° dan Aikikai Hombu, responsabile del Dojo Kikai di Roma

Marco è uno dei pochi insegnanti fedeli alla linea didattica del M° Fujimoto, lo stage sarà un’occasione per rivedere il modo di praticare che ci è familiare in un’ottica interpretativa diversa, mantenendo la sostanza invariata e mutando quello che è l’approccio dialettico, portando alla luce che l’aikido è un bene comune ma a seconda della chiave di lettura assume aspetti diversi, riportando interesse nella pratica delle basi senza dover cercare a forza la ricetta “esotica” per stimolare l’appetito aikidoistico.

Nell’attesa eccovi la locandina:

E se siete curiosi di vedere che faccia ha beccatevi sto video:

Se dopo cotanto spettacolo siete ancora dell’idea di unirvi a noi siete i benvenuti.

Dojo aperto

Domenica 7 Novembre 2010, scrivo la data perchè gli articoli durano nel tempo, abbiamo avuto graditi ospiti i genitori ed i fratelli/sorelle dei bambini che frequentano i due corsi attivi a Pordenone  unitamente a un manipolo di curiosi, amici dei nostri aikidoka, fortunatamente il tatami è abbastanza capiente e tutti hanno praticato senza incidenti anche se non ci sarebbe entrato più nessuno.

Spero che l’occasione sia risultata gradita a tutti, un’ora e mezza di lezione ci ha permesso di provare e mettere in pratica ben quattro tecniche diverse, certo non ci saranno stati grandi risultati ma credo che comunque la soddisfazione sia stata comune, almeno lo è stata per me che ho diretto la lezione.

Lo scopo di queste iniziative è primariamente quello di far vivere ai genitori che ci affidano i pargoli  l’esperienza dell’aikido dal di dentro.

Secondario ma non meno utile è il fatto che il curioso medio ha meno paura di provare a varcare la soglia del dojo in una situazione dove si è sicuramente mimetici e l’open day è l’ideale per i timidi.

Far provare a persone che non avrebbero l’intenzione di iscriversi ai corsi potrebbe sembrare una perdita di tempo ma proprio queste persone ci aiutano a smitizzare l’aikido e renderlo più potabile.

Dobbiamo continuare a cercare di aprire, non solo in senso metaforico, i dojo per poter far passare il messaggio di un’arte marziale sana ed ancora pulita, priva di tutto quello che di negativo lo sport si trascina dietro anche nei più piccoli dojo di provincia.

Da parte nostra siamo sicuri che l’offerta qualitativa (su quella quantitativa è superfluo scrivere, basta andare a vedere gli orari delle lezioni) è ai vertici in regione, sia per la preparazione degli insegnanti che per la disponibilità dei sempai ad accogliere chi si avvicina all’aikido.

Valutate quindi, prima di fare il grande passo, dove e a chi state andando a consegnare i vostri soldi, il tempo ed il vostro corpo se non quello dei vostri bimbi, perchè ci sono molte offerte e molti modi di fare aikido, spesso chi vende “l’originale aikido di Ueshiba” è messo lì ad insegnare per ragioni politiche care alle grandi associazioni senza neanche avere un grado ed un’esperienza necessari ad affrontare i problemi che un “maestro” deve risolvere quotidianamente.

Meditate gente, meditate e arrivederci al prossimo open day.

Decimo stage del M° Fujimoto a Pordenone

Sabato 24 e domenica 25 Aprile circa 100 aikidoka provenienti da tutta Italia sono saliti sul tatami a Pordenone in compagnia del M° Fujimoto, uno stage memorabile per l’intensità e la volontà di partecipare di tutti i presenti.

A nome mio e di tutti i miei allievi un doveroso ringraziamento al Maestro ed a tutti quanti sono intervenuti allo stage.

A parte devo ringraziare tutti quelli che hanno partecipato all’organizzazione, logistica, rinfresco, cena sociale, servizio taxi e quant’altro, grazie di cuore, anche se magari l’importanza del gesto per ora vi sfugge.

Fabrizio Bottacin, resposabile del Dojo “Aikikai Pordenone”.

Hakama o ruota di pavone?

Leggendo un testo del M° Saotome mi sono reso conto di quanto sia attraente e fuorviante l’utilizzo dell’hakama nella pratica dell’aikido.

Tentando di spiegarmi meglio vorrei attirare l’attenzione su quello che è l’hakama per i non praticanti: spesso le persone ci guardano come dei pazzi o degli esibizionisti senza identificare cosa indossiamo, altri riconoscono qualcosa che hanno visto nei cartoon giapponesi senza però individuare se si tratta di abito, gonna, pantalone o chissachè.

Solo alcuni riconoscono nell’hakama l’abito tipico del kendo,  iaido, aikido, ecc. Queste persone forse vedono nell’ostinarci a portare questo vetusto tipo di pantaloni un modo per mantenere una tradizione anche estetica nella pratica.

Forse comprendono che c’è uno spazio nel mondo marziale che non è solo combattimento, ma anche crescita e studio di un qualcosa che travalica il mero scontro tra contendenti.

E’ opportuno fare conoscere il senso di rispetto che si deve portare nel vestire l’hakama, lo stesso tipo di hakama che vestono i più grandi maestri e l’ultimo yudansha dell’ultimo dojo di fancazzisti.

Questo senso di rispetto che troppo spesso viene a mancare proprio da parte nostra, da noi che aneliamo la cintura nera come momento per poter mettere finalmente i larghi pantaloni  indaco.

Noi che ci pavoneggiamo di essere nella cerchia di coloro che sanno, e possono quindi, gli eletti yudansha che tragicamente perdono il senso del rispetto delle virtù che l’indossare l’hakama comporta usandola come uno status symbol da esibire in dojo o agli stage.

Che sia il motivo che spinge all’abbandono della pratica tanti neo shodan?

Che sia perchè si sono accorti che alla fine sono solo pantaloni larghi e che la mancanza di un valore dipende da chi li porta?

Sarebbe bello che la risposta esatta fosse la seconda, almeno ci sarebbe stato un momento introspettivo, ma, i pavoni hanno momenti introspettivi?

O sono troppo impegnati a tessere legami superficiali?

Per conto mio, lungi da essere esente da queste tentazioni, ho deciso di cercare di porre rimedio alla cosa facendo perdere quest’aura di santità all’hakama, decidendo di spostare verso il basso il limite minimo necessario per poter indossare in dojo l’oscuro oggetto del desiderio.

In questo modo si viene in contatto con la realtà del valore dell’hakama, una realtà fatta di pazienza verso chi sa meno di noi e senso del dovere nei confronti del dojo.

Senza i quali verrebbero a mancare gli strumenti necessari per costruire una strada che ci porti verso un’esistenza  migliore.

Funziona? Basterà?

Ai posteri l’ardua sentenza.

Aikido Girl

Pur rappresentando un’estremizzazione questo filmato mette in luce il fatto che anche i piccoli sono in grado di fare il nostro stesso aikido senza per forza dover praticare una forma storpiata, spesso trattiamo i bimbi come degli stupidini da far giocare con il risultato di finire a fare la baby sitter e non gli insegnanti di una cosa che i ns. giovanissi allievi, (futuri adulti allievi/insegnanti), apprendono con naturalezza grazie al fatto che ci si applicano senza “filtri”.

Donne e Aikido

Vagando per i siti dei vari Dojo in Italia mi sono imbattuto in un articolo che avrei voluto fosse stato scritto da una mia allieva, non per potermi vantare di ciò ma perchè è quello che ogni insegnante vorrebbe fosse il pensiero delle proprie allieve e dei propri allievi maschi in un certo senso.

“Esco che è buio già da un pezzo, la maggior parte delle luci delle case è già accesa, quella degli uffici è già spenta. Ci sono poche macchine in giro, vagano lente come se non sapessero bene dove portare il loro passeggero, oppure spedite e scattose, guidate da qualcuno che non vede l’ora di arrivare da qualche parte.

Io sono a piedi, e poichè ho mancato il mio appuntamento con il tatami non ho nessuna fretta di arrivare, anzi.

Dentro di me comincio a considerare l’ipotesi di andare, camminare, fino a casa. Certo, non sono esattamente due passi, ma potrei comunque immaginare che sia una forma di “allenamento mentale”. Non so perchè penso queste cose, ma mentre l’altra mia vocina (che in realtà non è nemmeno mia ma appartiene a mia nonna-mamma-amica-ecc.) mi dice atterrita che “a quest’ora di sera non è una bella cosa per una ragazza andare in giro da sola”, continuo a mettere un passo dietro l’altro, e non mi assale nessun senso di angoscia, vulnerabilità, smarrimento.

Diciamoci la verità, nuda e cruda, a noi donne insegnano ad avere paura fin da quando nasciamo. Lo fanno tutti, chi a fin di bene, chi per il proprio tornaconto, ma lo fanno tutti. Tutti i personaggi che fanno paura da piccoli sono maschili: l’orco, l’uomo nero (tralasciando inoltre le questioni razziali!!), la quasi totalità dei serial killer idem. La nostra società è ancora prettamente maschilista, vuole che la donna tema l’uomo ma al contempo vuole che ci costruisca una famiglia. C’è qualcosa di profondamente distorto in questo, secondo me.

Purtroppo è un fatto che le donne subiscono nel mondo molte più vessazioni rispetto agli uomini, ma quanta di questa violenza è generata da un’irresponsabilità vera (se mai possa considerarsi una colpa) della vittima e quanta dalla ormai millenaria convinzione che le donne debbano in qualche modo sentirsi sottomesse? Che sia comunque quello il loro ruolo?

Vogliamo ancora accettare che se un marito violenta la propria moglie il fatto non costituisce reato?

Il quesito successivo è chiedersi cosa può fare una donna, per non avere paura.

Non credo che siano le mie armi tenute su una spalla a farmi sentire sicura di me. Dubito che avrei la freddezza necessaria per usarle come si deve. Non nascondiamoci dietro ad un dito, l’aikido non lo pratichi per andare a pestarti per le strade, o per difenderti da un tentativo di stupro. Se cerchi quello fai altro. L’aikido ti serve piuttosto per “pestare”, o meglio testare, te stesso. La forma mentis che ti dà è molto molto di più del pensare che potresti spezzare le ossa a qualcuno. É una trasformazione del pensiero, delle tue capacità valutative. Sviluppato bene, secondo me è l’arte di evitare certe situazioni, di intuire che possono essere pericolose, di capire com’è la persona che hai davanti, quando è il momento di agire e quando è decisamente meglio quello che i giapponesi chiamano wu-wei, il non agire.

Noi occidentali siamo da sempre portati a credere che chi non agisce è un vigliacco.

Quando ci fermiamo, o perlomeno rallentiamo un po’, ci rendiamo conto di quello che ci circonda, vediamo la faccia di chi ci viene incontro, possiamo persino stare attenti ai dettagli, e quindi essere più preparati di fronte ad un pericolo. Questo secondo me è basilare, ancora di più quando si tratta di noi donne. È ormai appurato che la maggior parte delle violenze sulle donne vengono perpetuate da persone vicine alle vittime stesse. Ogni volta noi ci poniamo sempre la stessa domanda: “possibile che non se ne sia accorto nessuno?”. Possibile. Perchè talvolta non si può, talvolta non si vuole, vedere, ma attenzione che sono due lati di una stessa medaglia. Che la cecità sia psichica o fisica a questo punto non fa differenza, il sunto è che non si vede. Non si vede perchè si ha fretta, non si vede perchè non si è attenti o perchè si è attenti ad altro.

Nel nostro dojo il maestro è attento, i praticanti sono attenti.

Nel nostro dojo ci sono molte donne che praticano.

Nel nostro dojo le donne sono considerate quanto gli uomini, e non perchè qualcuno ci racconta che “nell’aikido non ci sono distinzioni di sesso, che tu sia maschio o femmina è uguale”.

Le distinzioni esistono.

Non siamo tutti uguali, pertanto sarebbe illogico pensare che quello che va bene per uno vada bene per tutti. Ci sono differenze fisiche, caratteriali, cognitive. Quello che ci unisce tutti è il rispetto reciproco, la consapevolezza che le nostre differenze non costituiscono un impaccio alla nostra crescita, anzi. Quanto più ci troviamo costretti a combattere contro i nostri demoni (il pregiudizio, la presunzione, la superbia, l’arroganza, l’egocentrismo e i loro mille fratelli), tanto più miglioriamo noi stessi e il nostro aikido. Tanto più acquistiamo fiducia nelle nostre capacità, tanto più ci sentiamo sicuri nel lavoro, in famiglia, per la strada. Si dice che Ueshiba potesse risolvere le sue situazioni conflittuali solo con uno sguardo. È una cosa che almeno in parte abbiamo sperimentato tutti: quando noi per primi siamo convinti di qualcosa, gli altri hanno più difficoltà a contestarla. Se tentenniamo saremo facile preda degli arroganti.

Lo so, se fossi nata una ventina d’anni prima sarei andata a bruciare reggiseni nelle piazze, ora per fortuna questo non serve più, e anche se talvolta le donne hanno dovuto arrivare all’eccesso, penso che allora fosse l’unico metodo possibile.
Ora però non ne abbiamo più bisogno. Ora possiamo fare qualunque cosa, e fra le tante possiamo calcare un tatami con uomini che indossano… la gonna!… cosa si può chiedere di più?

Calchiamolo allora, questo suolo su cui ogni caduta, ogni tecnica, ogni proiezione, ogni kata è una conquista, un mattoncino in più sulla via della propria forza, della propria consapevolezza, dell’amore per se stessi e per gli altri.”

Alcune personali riflessioni, e domande…

Girando per il web e parlando con la gente ho spesso la sensazione di non essere “inserito” correttamente nel mondo delle arti marziali.

Questa sensazione deriva dal fatto che molte persone che mi vengono nominate non le conosco, che il tal maestro e il tal altro istruttore sono per me dei perfetti sconosciuti pur essendo essi almeno campioni di categoria nella loro specialità e profondi conoscitori di tutta una serie di altre arti marziali.

Suscita molta curiosità nei miei interlocutori il fatto che io non abbia la benchè minima conoscenza di questi soggetti, spesso sono vicini di casa, che nel loro campo appaiono come dei mostri di bravura o di saggezza ad allievi e conoscenti.

Devo confessare che anch’io mi chiedo se sia possibile vivere nello stesso ambiente e non incrociarsi mai, per la verità la domanda dura poco, ne ho sempre di nuove e più interessanti.

Rimane però la curiosità ed essendo per mia natura un’affamato di conoscenza cerco puntualmente di saperne di più.

Di solito la ricerca comincia verbalmente da chi mi nomina per la prima volta il presunto maestro che abitualmente esorta così:_ “devi conoscerlo per forza fa aikido, ma anche jujitsujujutsukempodaitoescrimakalithaykaratejudosumosambocapoeira,talvolta mette i dischi al calcinculo della sagra della parrocchia e, come il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia! Come? Non lo conosci? E’ bravissimo, fa arti marzianE da quando era bambino!”.

Premetto una cosa, se faccio l’insegnante,( e NON il maestro o l’istruttore) di aikido è per caso, e soprattutto per poter praticare aikido, cosa che di suo mi impegna totalmente.
Se faccio aikido forse confino con quel mondo di tizi discutibili che è il mondo marziale, lungi da me voler sconfinare, non credo mi basterà tutta la vita per conoscere a sufficienza l’aikido, figuriamoci se ho il tempo di gironzolare a raccogliere nozioni enciclopediche di mille altre discipline o sport.

Ma continuiamo con le ricerche, quale posto migliore della rete per poter farsi un quadro della situazione?
Tutti si fanno un sito in internet, ne state leggendo uno, quindi niente di più facile.

Ecco che mi si apre un mondo, nomi altisonanti o aggressivi, grafiche degne di videogames, loghi fiammeggianti, links a scuole per corpi speciali e video dimostrativi di tecniche di soppressione rapida usate nei reparti speciali dei più temuti eserciti del pianeta. Serie di immagini del titolare dei corsi in pose che neanche Karate kid avrebbe il coraggio di proporre per la palese quanto plastica inutilità.
Gallerie fotografiche dove si documenta la presenza a manifestazioni interdisciplinari internazionali corredate dalle rituali foto a fianco dei vari maestri in posa “Benitica”, (per la verità spesso i maestri sono in posa “Benitica invertita”, cioè con una vistosa panza sporgente molto poco marziale).

Ma come si può nel terzo millennio continuare a prendere in giro la gente così?
Oppure la gente vuole avere a che fare con questi eterni adolescenti con il mito del supermachofurlàn?

Fare le persone serie e pensare al benessere a tutto tondo dei propri studenti, ad una loro crescita individuale e di gruppo serve a qualcosa o basta battersi forte il petto come dei gorilla per essere credibili?

Con queste domande a cui non so rispondere vi lascio in attesa di un’illuminazione.

FTE.

10 Anni, 1998-2008.

Dieci anni fa, i primi giorni di Ottobre del 1998, il m° Dejan Stamenkovic dopo una parentesi di tre anni in Italia tornava a casa con la famiglia e mi investiva (con l’approvazione degli allievi di allora) del ruolo di insegnante del Dojo di Pordenone.

Di quelli allievi ne sono rimasti molto pochi, Stefania, Gabriele e Tomislav, in compenso ne abbiamo altri che ci accompagnano nel rotolare sul tatami.

Mi sembrava doveroso prendere una pausa che sia di festa e di riflessione in occasione di una ricorrenza, qualsiasi fosse, i 10 anni del Dojo cadevano in un periodo non roseo per l’armonia del gruppo e sono passati in sordina, ma, ora, complice l’annata ricca di principianti ed una rinata coesione fra i praticanti mi sembra il caso di vivere una occasione di svago e divertimento pensando ai passi fatti finora.

Ho invitato il M° Giorgio Rizzi, senza il quale non saremmo quello che siamo e forse non ci saremmo nemmeno, a presenziare in veste di ospite d’onore. Spero venga accompagnato dalla masnada dei suoi “mati” che tanto ci hanno dato in termini umani e tecnici.

Estendo ora l’invito a tutti quelli che qui transitano e vorranno unirsi a noi, amici e nemici, aikidoka e familiari, ex allievi o curiosi e tutti quelli che amano l’aikido come noi.

L’appuntamento è in Dojo per Domenica 5 Ottobre alle 10.oo di mattina, il programma è molto semplice: facciamo aikido fino ad ora di pranzo, poi doccia e pranzo sul tatami.

Spero di avere un riscontro positivo e vi invito a confermarmi la presenza in modo che si possa organizzare il buffet al meglio.

Il Male Assoluto.

P. S.

Lo so che 10 anni sono pochi ma una scusa dovevo pur trovarla.

F.

Liberaci dal male…ecc… ecc…

Pubblicando questo scritto di Saotome Sensei vorrei contribuire alla divulgazione di alcuni fondamentali princìpi che noi tutti dovremmo cercare (almeno) di seguire, abbiate la pazienza di leggerlo tutto.

_”Poichè l’Aikido è un arte marziale il cui scopo è quello di raffinare lo spirito umano e promuovere la pace nel mondo, il dojo di Aikido riunisce in sè gli influssi del dojo religioso e della società guerriera.

L’Aikido non è una religione, in quanto non ha nè dogmi nè dottrine, ma una semplice ricerca spirituale, per quanto profonda. Il dojo di Aikido è un tempio dello spirito, sia di quello del singolo individuo, sia dello spirito divino che è in ogni cosa dell’universo. Il dojo di Aikido deve anche mantenere la severa disciplina di una comunità di guerrieri, perchè l’Aikido è Budo, la via del guerriero.

L’Aikido non deve essere considerato una teoria astratta di valori spirituali, ma un allenamento pratico che rafforza il vostro coraggio, la vostra serenità interiore e la vostra capacità di corrispondere con gli altri. E’ strutturato per cambiare il vostro atteggiamento mentale, per evitare che ricorriate all’aggressione e alla violenza quando siete sotto tensione, e indurvi invece ad un comportamento che impedisca o concluda i conflitti.

L’Aikido è fatto per darvi il coraggio delle vostre convinzioni.

Gli elementi essenziali del dojo sono: impegno, collaborazione, disciplina, ordine, cortesia e fede nello scopo per il cui conseguimento i membri del dojo stanno impegnandosi.

Come si realizzano in pratica?

Primo, gli studenti del dojo devono essere corresponsabili del benessere comune e della manutenzione del dojo. Il dojo non è un liceo nel quale personale stipendiato attende alle sue necessità. Gli studenti stessi del dojo devono provvedere alla pulizia, considerandola come un esercizio spirituale; l’aspetto del dojo riflette la condizione interiore dei suoi studenti. Aver cura della pulizia personale è ritenuto un atto di considerazione e di rispetto per voi stessi, per i vostri compagni e per l’arte dell’Aikido.

Lo studente di Aikido deve tenere in ordine e pulito il suo corredo e le sue armi. Non deve lasciare in giro i suoi effetti personali, ma collocarli in ordine negli appositi moduli. deve sapere in qualsiasi momento dove si trovano le sue armi.

Anche se la collaborazione è di primaria importanza, il dojo non è una democrazia.

Dal vostro Sensei, scendendo attraverso la gerarchia che passa per i sempai ed i kohai, deve correre una catena di umiltà ed obbedienza rafforzata dal reciproco rispetto. Gli studenti anziani devono dare il buon esempio ai più giovani e devono rafforzare e sostenere gli insegnamenti del loro Sensei. Spetta agli studenti anziani accertarsi che i più giovani fruiscano di un allenamento completo e che venga eseguito il lavoro necessario.

Gli studenti più giovani devono rispettare gli anziani e non discuterne le istruzioni. I nuovi arrivati nulla conoscono della vita del dojo né dei principi essenziali dell’Aikido.Per imparare è necessario che mostrino umiltà e apertura mentale.

Gli anziani, d’altra parte, devono comportarsi in maniera da meritarsi il rispetto degli altri; non devono sfruttare la loro posizione per umiliare o trattare arrogantemente i giovani. La gerarchia del dojo non esclude affatto il rispetto che ognuno deve avere nei riguardi di qualsiasi essere umano. Nell’osservanza delle regole dell’etichetta è importante mantenere il decoro ed un comportamento disciplinato ed affabile.

Ci si deve attenere strettamente alle norme di cortesia ed esibire un aspetto piacevole e corretto sia nel vestire che nell’atteggiamento. Presentarsi sul tatami non completamente o malamente vestiti, andarsene in giro per il dojo in modo trasandato o informale, sono atteggiamenti esteriori impropri che rivelano una mollezza spirituale e mentale. Mantenere invece il giusto decoro rafforza il vostro ordine interiore.

Nel dojo di Aikido non vogliamo allevare degli assassini, né gli strappi all’etichetta vengono puniti con la morte. Tuttavia, se dimenticate o addirittura ignorate il tremendo impegno che si cela dietro agli allenamenti nelle arti marziali e la protezione assicurata appositamente dall’etichetta contro gli incidenti, sono certo che il vostro allenamento mancherà di profondità e che la vostra comprensione sarà molto limitata.

La consapevolezza che vita e morte sono i due estremi in gioco nel Budo, ve ne farà maggiormente apprezzare il significato.Imparerete inoltre ad accrescere il senso del valore della vostra vita e di quella dei vostri compagni.”

Praticare ukemi ed essere uke

(traduzione ed adattamento di “Taking Ukemi and Being Uke” di Peter “the Budo Bum” Boylan, fatto da Carlo “Nishinkan”, tratto dal sito http://seishindojo.splinder.com)

Nell’Aikido moderno siamo tutti istruiti su come praticare le ukemi (cadute al suolo, letteralmente: ricevere col corpo) ma raramente ci viene insegnato come essere un Uke.

Nell’ultimo paio di anni, quando ho praticato Jodo in Giappone, il più grande impegno del mio addestramento è stato focalizzare come rivestire il ruolo di Uke, il praticante che nel kata viene sconfitto.
Per coloro che non hanno dimestichezza con il budo classico giapponese il kata è un esercizio eseguito da due persone che si confrontano (con la ovvia eccezione dello iaido e dello kyudo dove questo potrebbe essere troppo pericoloso).
Il kata è una sequenza predeterminata di minacce, attacchi e risposte; Uke attacca e Tori blocca, evade, contrattacca o risponde come richiesto ed Uke quindi, a sua volta, fa lo stesso.

Il mio addestramento mi ha più tardi portato a comprendere con precisione perché facciamo le cose nel modo in cui le facciamo e perché Uke porta Tori ad imparare e comprendere.
Può capitare che Tori dimentichi di muoversi al momento giusto, oppure sia troppo lento, ed allora Uke deve controllare la situazione, rallentare o addirittura arrestare in tempo un attacco estremamente deciso, per evitare di colpire un Tori impreparato.

Quindi Uke deve avere molto più awase (termine complesso che si potrebbe tradurre come attenzione, partecipazione, sensibilità) rispetto a Tori.
Il presupposto è che Uke conosca anche i movimenti che deve eseguire Tori e che lo aiuti ad impararli.
Questo aiuto consiste in qualcosa di più che sapere cosa avverrà nel passaggio successivo della tecnica ed eseguirlo, questo è solo il più elementare livello della pratica.

Uke è anche responsabile del controllo dell’intensità, velocità e tempistica della pratica; se egli è appena adeguato alla intensità di Tori, quest’ultimo può facilmente ferirsi quando la pratica è ad un livello tale in cui entrambi non riescano a focalizzare la risposta di chi sta attaccando.

Uke deve imparare a limitare l’intensità, la velocità e la tempistica della pratica ad un livello adeguato a quello della lezione in corso (Io so che se pratico con il mio insegnante, lui eseguirà solo movimenti ad una velocità che io posso gestire, altrimenti rischierei un infortunio).

Uke deve essere in awase con tutto ciò e scegliere cosa è appropriato fare durante la lezione.

 

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A volte Tori necessita di praticare al limite delle sue capacità, in una condizione in cui riesca appena a gestire l’intensità e la velocità della pratica, ma la maggior parte delle volte le lezioni devono essere incentrate sul curare i particolari relativi alla distanza, alla tempistica ed alla posizione, che non possono essere curate ad un livello troppo elevato della intensità della pratica.

Il compito di Uke è sostanzialmente quello di offrire l’insegnamento al livello di velocità e intensità adeguato alla lezione in corso.

In ogni kata, come Uke dobbiamo imparare non solo quale attacco eseguire, ma anche come replicare alle azioni di Tori.

Ci sono molte buone ragioni per ciascun movimento in ogni tecnica, e quando noi proviamo a fare qualcos’altro, perfino se mettiamo appena un po’ troppa forza in qualche passaggio, spesso ci mettiamo da soli in pericolo.

In molti dojo di Aikido molto tempo della pratica viene impiegato nel ruolo di Tori, molto altro tempo viene utilizzato per mostrare come praticare le ukemi, ma quasi nulla su come essere Uke.

Mi chiedo se la pratica dell’Aikido non sarebbe più efficace se molto del tempo impiegato a spiegare le cadute venisse utilizzato per spiegare come essere Uke.

L’insegnante non solo dovrebbe mostrare come Tori deve eseguire la tecnica ma anche come Uke deve effettuare l’attacco, come e perché proseguire l’azione, questo può essere sufficiente a risolvere molto velocemente i problemi di molti Uke che agiscono in modo inappropriato.

Se Uke impreparati sono guidati ad evitare irrigidimenti o attacchi sproporzionati molti incidenti possono essere evitati o possono verificarsi più raramente.

Credo sia molto importante che sia Uke che Tori debbano avere una profonda comprensione della tecnica che Uke sta imparando e perché questa debba terminare in un certo modo.

Nella maggior parte dei dojo di Aikido in cui ho praticato da Uke, non ho in realtà approfondito le caratteristiche di questo ruolo e quello che ho imparato è stato come fare da Uke in maniera improvvisata e superficiale. Io credo che per molti di noi potrebbe essere utile se l’addestramento prevedesse in maniera sistematica e formalizzata il come ed il perché delle azioni di Uke, al pari di quelle di Tori.

Nella pratica tradizionale in cui gli esperti fanno da Uke i principianti non impiegano la maggior parte del tempo in un allenamento casuale, ma tutto il tempo di addestramento è massimizzato e imparano il funzionamento delle tecniche in profondità.

Quando i principianti nel ruolo di Tori hanno una perplessità o necessitano di una indicazione, si rivolgono all’ Uke esperto ed evitano di perdere tempo praticando in modo errato; inoltre il principiante ha un immediato riscontro delle sue azioni, sia se queste sono corrette, sia – come spesso avviene – se sono sbagliate.

Un Uke esperto può portare Tori principianti sul giusto sentiero.

Sorprendentemente, anche l’Uke esperto trae profitto da questa pratica, potendo approfondire gli aspetti di tempistica e ma-ai, che viceversa potevano essergli sfuggiti quando praticava come Uke da principiante. Inoltre, praticare con chi non sa sempre precisamente cosa fare favorisce lo sviluppo della flessibilità della risposta, richiedendo una prontezza sufficiente ad adattarsi ad un’ampia varietà di azioni inattese poiché il kata è si una sequenza codificata di movimenti, ma finché questa non è appresa in maniera completa, c’è sempre la possibilità che il partner esegua una azione diversa da quella prevista.

Tutto ciò fa parte dell’imparare ad essere Uke, le ukemi sono la più basilare abilità di Uke ma non l’unica da sviluppare e neppure la più difficile da sviluppare, per cui ritengo che noi facciamo a noi stessi un cattivo servigio se insegniamo ad eseguire le ukemi ma non ad essere Uke.

Alcune riflessioni

Preso da wikipedia (voce: Zigmunt Bauman) (corsivi miei)

Secondo Bauman, nella modernità la morale è la regolazione coercitiva dell’agire sociale attraverso la proposta di valori o leggi universali a cui nessun uomo ragionevole (la razionalità è caratteristica della modernità) può sottrarsi.

Non si può invece parlare de LA morale post-moderna, perché la fine delle “grandi narrazioni” del Novecento, cioè le ideologie, ha reso impossibile la pretesa di verità assolute, e quindi ci possono essere tante morali. Bauman propone UN tipo di morale: la morale nasce come (ed è sostanzialmente) il consegnarsi totalmente dell’io al tu (ovvero di me all’altro). È un fatto assolutamente e totalmente individuale e libero.

Poiché non può esistere un terzo che mi dice se la mia azione è morale oppure no, non c’è più società, la quale necessita sempre di almeno tre persone. Ma come si traduce questa definizione individuale nella concreta pratica sociale?Bauman specifica che questa libertà di donarsi è sempre dentro a certi vincoli e costruzioni dati da una struttura che è, appunto, la società. L’impulso ad essere per l’altro, a donarsi all’altro, indipendentemente da come l’altro si atteggia nei propri confronti non è razionale; per questo per Bauman la morale (originata da tale impulso) è del tutto irrazionale.

L’origine della morale è sempre un atto individuale, implica necessariamente un io (è la mia decisione), mai un noi (non è un atto collettivo, né l’esito di un accordo, perché è sempre la scelta del singolo di atteggiarsi in un certo modo nei confronti dell’altro). Se non c’è l’io l’atto morale non c’è.

La morale quindi è un atto del tutto individuale, ma crea la società. La società nasce da una scelta etica individuale, l’atto etico individuale va fatto da me e non da altri, e però crea un vincolo: viviamo in società, siamo in società, solo in virtù del nostro essere morali.

Per Bauman solitamente si incontra l’altro “non come persona”: Bauman usa il termine “persona” nel senso in cui viene usato dall’interazionismo simbolico, per cui il concetto di persona è inteso nel senso di una maschera che ricopre un ruolo. L’identità di ogni individuo è la somma di tutti i ruoli che copre, per questo si parla solo di persone, cioè di attori che ricoprono ruoli. L’atto morale ci permette di incontrare l’altro non come persona/maschera, ma come volto, cioè nella sua vera identità e non nel ruolo. Con l’atto morale mi consegno a una debolezza assoluta (l’atto morale è l’antitesi del potere o della sua logica, che è forza) perché riconosco all’altro la possibilità di comandarmi, accetto di consegnarmi a lui.

Il paradosso della morale per Bauman è che da un lato crea disordine, dall’altro è necessario come atto fondante della società (senza l’impulso di aprirsi all’altro non ci sarebbero le relazioni sociali). Tuttavia, essendo l’impulso della morale irrazionale e libero, è in antitesi all’ordine sociale, e pertanto la morale rischia di non avere molto spazio in una società sempre più complessa che ha bisogno di regole sempre più sofisticate.

Quindi l’aikido è morale…