Quanti/2

Messaggio delirante inviatomi dal Maggico qualche tempo fa…

“Questo mi ricorda quello che è avvenuto un giorno nel dojo inglese”, …

QUANTI AIKIDOKAS (INGLESI) CI VOGLIONO PER (NON) CAMBIARE UNA LAMPADINA? UNO (QUELLO CHE SI FA MALE)…

A lezione, durante un iriminage, salta la luce. Si sente un urlo strozzato seguito da un rantolo di uke che non è riuscito a focalizzare il punto di caduta ed e’ atterrato di collo. Sensei, al buio, senza scomporsi, dice “bless you!” (–>la farse che di solito si dice a uno che starnutisce) e chiama fuori un altro uke, al che si accorge che non riesce a mostare niente perche’ continuano ad inciampare nei resti del primo uke.
Al che si decide a cambiare la lampadina. Percio’ bisogna andare a fare il the coi biscotti.
Intanto, siccome le sedie sono nell’altra stanza, si decide unanimamente di utilizzare un lungo ferro di metallo per raggiungere la lampadina e con quello cercare di squilibrarla per farla cadere giu’.

L’allievo piu’ volonteroso si offre volontario, e appena inizia ad armeggiare col ferro, si prende 250 volt di scossa. Sensei allora si complimenta con lui per l’ottima connection dimostrata col suo uke, per l’attitudine, lo spirito, l’efficacia (ancorche’ su se stesso) e gli da’ una pacca sulla spalla ma poi visto che prendeva la scossa toccandolo, per curarlo decide di dargli il numero di un ex allievo che una volta aveva detto che era interessato a fare un corso di agopuntura, ma viene interrotto dal sacramento di quello che e’ andato a preparare il the che ha centrato la portella aperta con l’occhio sinistro (“tanto ne ho un altro!” ci rassicura).
Intanto sensei ci intrattiene con la storia di quando Chiba sensei, avendo origliato che O Sensei si lamentava del fatto che il design un po’ troppo barocco del suo lampadario la Murrina lo cominciava da annoiare, decise di fracassarlo a martellate nottetempo, pensando di fare cosa gradita ad O Sensei, che apprezzo’ cosi’ tanto che lo mando’ a comprarne un altro di tasca sua minacciandolo nel contempo di morte.

Chiba torno’ con un lampada da comodino Ikea (modello Strompfli), ma O Sensei apprezzo’ il gesto e lo perdono’.
Nel frattempo il the e’ pronto, a me lo versano sulla mano (l’urlo che tiro fa partire l’allarme antincendio) e il tizio fulminato, ancora in preda a convusioni, spande tutto il the sulla foto del kamiza.

Sono sicuro che se qualche praticante avesse potuto vedere la foto di OSensei tutta inzaccherata avrebbe approvato, “perche’ così sembra sudato, piu’ attivo”…
L’insegnante non dice niente perche’ e’ tropo impegnato a sputacchiare le foglioline di the visto che ha addentato la bustina invece di un digestive.
Alla fine ci alziamo e ce ne andiamo, al momento di spegnere la luce prima di uscire ci si ricorda della lampadina, salta fuori che cosi’ fulminata va meglio perche’ non serve spegnerla quando si esce e si decide di lasciarla cosi’ com’e’ almeno finche’ qualcuno non si fara’ del male.

Parco Sempione

Ciao a tutti,

nella solitudine scozzese, mi sono impallato ad ascoltare Parco Sempione di Elio.

Al di la’ della canzone fighissima uno spunto di riflessione per tutto il forum:

La frase di Faso: “..ma non lo senti come suona male da Dio?” penso sia applicabilissima anche all’Aikido! Quanti insegnanti fanno “Aikido male da Dio?”

Urgesi risposta!!!

Il vostro Raptus/Jac

Ps: Che volevo fave un bvindisi a mia madre che ha tvombato e fatto un figo come me!

Quanti/1

Quanti praticanti di Aikido ci vogliono per cambiare una lampadina?

· Nessuno: gli studenti di Aikido non provocano mai una situazione conflittuale.

· Nessuno. Noi non cambiamo le lampadine, semplicemente le modifichiamo, armonizzandoci con loro.

· Uno, ma questo comporta un lunghissimo tempo per provare tutte le possibili combinazioni e prevedere le contro-tecniche da parte della lampadina per poterle annullare.

· Uno: praticando con il bokken.

· Uno: ma prima lui (o lei) vi mostrerà cinque modi sbagliati per farlo, prima di dimostrarvi il modo giusto.

· Un Sensei per spiegare il movimento circolare necessario per proiettare la lampadina dentro il portalampada e un allievo per praticare quanto sopra centinaia di volte.

· Uno: ma la lampadina deve iniziare lei l’attacco.

· Due: uno toglie la lampadina e l’altro effettua la caduta.

· Tre: due per praticare e uno per correggere gli errori.

· Sette: uno cambia la lampadina e sei dicono: “OK, ma la lampadina saprebbe che stai arrivando e ti darebbe un atemi!”

· Undici. Uno toglie la lampadina e dieci dicono: “bene, ma nel nostro Dojo lo facciamo diversamente!”

· Quindici. Dieci aikidoka della scuola “Tomiki” e una serie di cinque giudici, per determinare il vincitore.

Domenica 2 Marzo 2008

L’AIKIKAI PORDENONE in collaborazione con: Aikikai Verona, Aikikai Mestre, Aikikai Tarvisio, Aikikai Zagabria, Aikikai Valdobbiadene

Organizza una lezione speciale di AIKIDO “congiunta” che si terrà nel dojo di Pordenone a partire dalle ore 10.00.

Lo scopo di questo incontro è quello di stimolare la conoscenza fra le varie scuole in uno spirito di collaborazione e crescita collettiva, a tale scopo si consiglia la partecipazione a tutti ma soprattutto a coloro i quali non hanno molta esperienza in fatto di stages (principianti e gradi kyu più bassi).

La partecipazione è totalmente gratuita.

Il ritrovo è per le 9.30 presso il dojo di Pordenone, Polispotivo “EX FIERA” di Via Molinari.

Altre informazioni: info@aikidopordenone.com oppure al 349 6615469.

Praticare ukemi ed essere uke

(traduzione ed adattamento di “Taking Ukemi and Being Uke” di Peter “the Budo Bum” Boylan, fatto da Carlo “Nishinkan”, tratto dal sito http://seishindojo.splinder.com)

Nell’Aikido moderno siamo tutti istruiti su come praticare le ukemi (cadute al suolo, letteralmente: ricevere col corpo) ma raramente ci viene insegnato come essere un Uke.

Nell’ultimo paio di anni, quando ho praticato Jodo in Giappone, il più grande impegno del mio addestramento è stato focalizzare come rivestire il ruolo di Uke, il praticante che nel kata viene sconfitto.
Per coloro che non hanno dimestichezza con il budo classico giapponese il kata è un esercizio eseguito da due persone che si confrontano (con la ovvia eccezione dello iaido e dello kyudo dove questo potrebbe essere troppo pericoloso).
Il kata è una sequenza predeterminata di minacce, attacchi e risposte; Uke attacca e Tori blocca, evade, contrattacca o risponde come richiesto ed Uke quindi, a sua volta, fa lo stesso.

Il mio addestramento mi ha più tardi portato a comprendere con precisione perché facciamo le cose nel modo in cui le facciamo e perché Uke porta Tori ad imparare e comprendere.
Può capitare che Tori dimentichi di muoversi al momento giusto, oppure sia troppo lento, ed allora Uke deve controllare la situazione, rallentare o addirittura arrestare in tempo un attacco estremamente deciso, per evitare di colpire un Tori impreparato.

Quindi Uke deve avere molto più awase (termine complesso che si potrebbe tradurre come attenzione, partecipazione, sensibilità) rispetto a Tori.
Il presupposto è che Uke conosca anche i movimenti che deve eseguire Tori e che lo aiuti ad impararli.
Questo aiuto consiste in qualcosa di più che sapere cosa avverrà nel passaggio successivo della tecnica ed eseguirlo, questo è solo il più elementare livello della pratica.

Uke è anche responsabile del controllo dell’intensità, velocità e tempistica della pratica; se egli è appena adeguato alla intensità di Tori, quest’ultimo può facilmente ferirsi quando la pratica è ad un livello tale in cui entrambi non riescano a focalizzare la risposta di chi sta attaccando.

Uke deve imparare a limitare l’intensità, la velocità e la tempistica della pratica ad un livello adeguato a quello della lezione in corso (Io so che se pratico con il mio insegnante, lui eseguirà solo movimenti ad una velocità che io posso gestire, altrimenti rischierei un infortunio).

Uke deve essere in awase con tutto ciò e scegliere cosa è appropriato fare durante la lezione.

 

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A volte Tori necessita di praticare al limite delle sue capacità, in una condizione in cui riesca appena a gestire l’intensità e la velocità della pratica, ma la maggior parte delle volte le lezioni devono essere incentrate sul curare i particolari relativi alla distanza, alla tempistica ed alla posizione, che non possono essere curate ad un livello troppo elevato della intensità della pratica.

Il compito di Uke è sostanzialmente quello di offrire l’insegnamento al livello di velocità e intensità adeguato alla lezione in corso.

In ogni kata, come Uke dobbiamo imparare non solo quale attacco eseguire, ma anche come replicare alle azioni di Tori.

Ci sono molte buone ragioni per ciascun movimento in ogni tecnica, e quando noi proviamo a fare qualcos’altro, perfino se mettiamo appena un po’ troppa forza in qualche passaggio, spesso ci mettiamo da soli in pericolo.

In molti dojo di Aikido molto tempo della pratica viene impiegato nel ruolo di Tori, molto altro tempo viene utilizzato per mostrare come praticare le ukemi, ma quasi nulla su come essere Uke.

Mi chiedo se la pratica dell’Aikido non sarebbe più efficace se molto del tempo impiegato a spiegare le cadute venisse utilizzato per spiegare come essere Uke.

L’insegnante non solo dovrebbe mostrare come Tori deve eseguire la tecnica ma anche come Uke deve effettuare l’attacco, come e perché proseguire l’azione, questo può essere sufficiente a risolvere molto velocemente i problemi di molti Uke che agiscono in modo inappropriato.

Se Uke impreparati sono guidati ad evitare irrigidimenti o attacchi sproporzionati molti incidenti possono essere evitati o possono verificarsi più raramente.

Credo sia molto importante che sia Uke che Tori debbano avere una profonda comprensione della tecnica che Uke sta imparando e perché questa debba terminare in un certo modo.

Nella maggior parte dei dojo di Aikido in cui ho praticato da Uke, non ho in realtà approfondito le caratteristiche di questo ruolo e quello che ho imparato è stato come fare da Uke in maniera improvvisata e superficiale. Io credo che per molti di noi potrebbe essere utile se l’addestramento prevedesse in maniera sistematica e formalizzata il come ed il perché delle azioni di Uke, al pari di quelle di Tori.

Nella pratica tradizionale in cui gli esperti fanno da Uke i principianti non impiegano la maggior parte del tempo in un allenamento casuale, ma tutto il tempo di addestramento è massimizzato e imparano il funzionamento delle tecniche in profondità.

Quando i principianti nel ruolo di Tori hanno una perplessità o necessitano di una indicazione, si rivolgono all’ Uke esperto ed evitano di perdere tempo praticando in modo errato; inoltre il principiante ha un immediato riscontro delle sue azioni, sia se queste sono corrette, sia – come spesso avviene – se sono sbagliate.

Un Uke esperto può portare Tori principianti sul giusto sentiero.

Sorprendentemente, anche l’Uke esperto trae profitto da questa pratica, potendo approfondire gli aspetti di tempistica e ma-ai, che viceversa potevano essergli sfuggiti quando praticava come Uke da principiante. Inoltre, praticare con chi non sa sempre precisamente cosa fare favorisce lo sviluppo della flessibilità della risposta, richiedendo una prontezza sufficiente ad adattarsi ad un’ampia varietà di azioni inattese poiché il kata è si una sequenza codificata di movimenti, ma finché questa non è appresa in maniera completa, c’è sempre la possibilità che il partner esegua una azione diversa da quella prevista.

Tutto ciò fa parte dell’imparare ad essere Uke, le ukemi sono la più basilare abilità di Uke ma non l’unica da sviluppare e neppure la più difficile da sviluppare, per cui ritengo che noi facciamo a noi stessi un cattivo servigio se insegniamo ad eseguire le ukemi ma non ad essere Uke.