Domenica 2 Marzo 2008

L’AIKIKAI PORDENONE in collaborazione con: Aikikai Verona, Aikikai Mestre, Aikikai Tarvisio, Aikikai Zagabria, Aikikai Valdobbiadene

Organizza una lezione speciale di AIKIDO “congiunta” che si terrà nel dojo di Pordenone a partire dalle ore 10.00.

Lo scopo di questo incontro è quello di stimolare la conoscenza fra le varie scuole in uno spirito di collaborazione e crescita collettiva, a tale scopo si consiglia la partecipazione a tutti ma soprattutto a coloro i quali non hanno molta esperienza in fatto di stages (principianti e gradi kyu più bassi).

La partecipazione è totalmente gratuita.

Il ritrovo è per le 9.30 presso il dojo di Pordenone, Polispotivo “EX FIERA” di Via Molinari.

Altre informazioni: info@aikidopordenone.com oppure al 349 6615469.

Praticare ukemi ed essere uke

(traduzione ed adattamento di “Taking Ukemi and Being Uke” di Peter “the Budo Bum” Boylan, fatto da Carlo “Nishinkan”, tratto dal sito http://seishindojo.splinder.com)

Nell’Aikido moderno siamo tutti istruiti su come praticare le ukemi (cadute al suolo, letteralmente: ricevere col corpo) ma raramente ci viene insegnato come essere un Uke.

Nell’ultimo paio di anni, quando ho praticato Jodo in Giappone, il più grande impegno del mio addestramento è stato focalizzare come rivestire il ruolo di Uke, il praticante che nel kata viene sconfitto.
Per coloro che non hanno dimestichezza con il budo classico giapponese il kata è un esercizio eseguito da due persone che si confrontano (con la ovvia eccezione dello iaido e dello kyudo dove questo potrebbe essere troppo pericoloso).
Il kata è una sequenza predeterminata di minacce, attacchi e risposte; Uke attacca e Tori blocca, evade, contrattacca o risponde come richiesto ed Uke quindi, a sua volta, fa lo stesso.

Il mio addestramento mi ha più tardi portato a comprendere con precisione perché facciamo le cose nel modo in cui le facciamo e perché Uke porta Tori ad imparare e comprendere.
Può capitare che Tori dimentichi di muoversi al momento giusto, oppure sia troppo lento, ed allora Uke deve controllare la situazione, rallentare o addirittura arrestare in tempo un attacco estremamente deciso, per evitare di colpire un Tori impreparato.

Quindi Uke deve avere molto più awase (termine complesso che si potrebbe tradurre come attenzione, partecipazione, sensibilità) rispetto a Tori.
Il presupposto è che Uke conosca anche i movimenti che deve eseguire Tori e che lo aiuti ad impararli.
Questo aiuto consiste in qualcosa di più che sapere cosa avverrà nel passaggio successivo della tecnica ed eseguirlo, questo è solo il più elementare livello della pratica.

Uke è anche responsabile del controllo dell’intensità, velocità e tempistica della pratica; se egli è appena adeguato alla intensità di Tori, quest’ultimo può facilmente ferirsi quando la pratica è ad un livello tale in cui entrambi non riescano a focalizzare la risposta di chi sta attaccando.

Uke deve imparare a limitare l’intensità, la velocità e la tempistica della pratica ad un livello adeguato a quello della lezione in corso (Io so che se pratico con il mio insegnante, lui eseguirà solo movimenti ad una velocità che io posso gestire, altrimenti rischierei un infortunio).

Uke deve essere in awase con tutto ciò e scegliere cosa è appropriato fare durante la lezione.

 

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A volte Tori necessita di praticare al limite delle sue capacità, in una condizione in cui riesca appena a gestire l’intensità e la velocità della pratica, ma la maggior parte delle volte le lezioni devono essere incentrate sul curare i particolari relativi alla distanza, alla tempistica ed alla posizione, che non possono essere curate ad un livello troppo elevato della intensità della pratica.

Il compito di Uke è sostanzialmente quello di offrire l’insegnamento al livello di velocità e intensità adeguato alla lezione in corso.

In ogni kata, come Uke dobbiamo imparare non solo quale attacco eseguire, ma anche come replicare alle azioni di Tori.

Ci sono molte buone ragioni per ciascun movimento in ogni tecnica, e quando noi proviamo a fare qualcos’altro, perfino se mettiamo appena un po’ troppa forza in qualche passaggio, spesso ci mettiamo da soli in pericolo.

In molti dojo di Aikido molto tempo della pratica viene impiegato nel ruolo di Tori, molto altro tempo viene utilizzato per mostrare come praticare le ukemi, ma quasi nulla su come essere Uke.

Mi chiedo se la pratica dell’Aikido non sarebbe più efficace se molto del tempo impiegato a spiegare le cadute venisse utilizzato per spiegare come essere Uke.

L’insegnante non solo dovrebbe mostrare come Tori deve eseguire la tecnica ma anche come Uke deve effettuare l’attacco, come e perché proseguire l’azione, questo può essere sufficiente a risolvere molto velocemente i problemi di molti Uke che agiscono in modo inappropriato.

Se Uke impreparati sono guidati ad evitare irrigidimenti o attacchi sproporzionati molti incidenti possono essere evitati o possono verificarsi più raramente.

Credo sia molto importante che sia Uke che Tori debbano avere una profonda comprensione della tecnica che Uke sta imparando e perché questa debba terminare in un certo modo.

Nella maggior parte dei dojo di Aikido in cui ho praticato da Uke, non ho in realtà approfondito le caratteristiche di questo ruolo e quello che ho imparato è stato come fare da Uke in maniera improvvisata e superficiale. Io credo che per molti di noi potrebbe essere utile se l’addestramento prevedesse in maniera sistematica e formalizzata il come ed il perché delle azioni di Uke, al pari di quelle di Tori.

Nella pratica tradizionale in cui gli esperti fanno da Uke i principianti non impiegano la maggior parte del tempo in un allenamento casuale, ma tutto il tempo di addestramento è massimizzato e imparano il funzionamento delle tecniche in profondità.

Quando i principianti nel ruolo di Tori hanno una perplessità o necessitano di una indicazione, si rivolgono all’ Uke esperto ed evitano di perdere tempo praticando in modo errato; inoltre il principiante ha un immediato riscontro delle sue azioni, sia se queste sono corrette, sia – come spesso avviene – se sono sbagliate.

Un Uke esperto può portare Tori principianti sul giusto sentiero.

Sorprendentemente, anche l’Uke esperto trae profitto da questa pratica, potendo approfondire gli aspetti di tempistica e ma-ai, che viceversa potevano essergli sfuggiti quando praticava come Uke da principiante. Inoltre, praticare con chi non sa sempre precisamente cosa fare favorisce lo sviluppo della flessibilità della risposta, richiedendo una prontezza sufficiente ad adattarsi ad un’ampia varietà di azioni inattese poiché il kata è si una sequenza codificata di movimenti, ma finché questa non è appresa in maniera completa, c’è sempre la possibilità che il partner esegua una azione diversa da quella prevista.

Tutto ciò fa parte dell’imparare ad essere Uke, le ukemi sono la più basilare abilità di Uke ma non l’unica da sviluppare e neppure la più difficile da sviluppare, per cui ritengo che noi facciamo a noi stessi un cattivo servigio se insegniamo ad eseguire le ukemi ma non ad essere Uke.

Alcune riflessioni

Preso da wikipedia (voce: Zigmunt Bauman) (corsivi miei)

Secondo Bauman, nella modernità la morale è la regolazione coercitiva dell’agire sociale attraverso la proposta di valori o leggi universali a cui nessun uomo ragionevole (la razionalità è caratteristica della modernità) può sottrarsi.

Non si può invece parlare de LA morale post-moderna, perché la fine delle “grandi narrazioni” del Novecento, cioè le ideologie, ha reso impossibile la pretesa di verità assolute, e quindi ci possono essere tante morali. Bauman propone UN tipo di morale: la morale nasce come (ed è sostanzialmente) il consegnarsi totalmente dell’io al tu (ovvero di me all’altro). È un fatto assolutamente e totalmente individuale e libero.

Poiché non può esistere un terzo che mi dice se la mia azione è morale oppure no, non c’è più società, la quale necessita sempre di almeno tre persone. Ma come si traduce questa definizione individuale nella concreta pratica sociale?Bauman specifica che questa libertà di donarsi è sempre dentro a certi vincoli e costruzioni dati da una struttura che è, appunto, la società. L’impulso ad essere per l’altro, a donarsi all’altro, indipendentemente da come l’altro si atteggia nei propri confronti non è razionale; per questo per Bauman la morale (originata da tale impulso) è del tutto irrazionale.

L’origine della morale è sempre un atto individuale, implica necessariamente un io (è la mia decisione), mai un noi (non è un atto collettivo, né l’esito di un accordo, perché è sempre la scelta del singolo di atteggiarsi in un certo modo nei confronti dell’altro). Se non c’è l’io l’atto morale non c’è.

La morale quindi è un atto del tutto individuale, ma crea la società. La società nasce da una scelta etica individuale, l’atto etico individuale va fatto da me e non da altri, e però crea un vincolo: viviamo in società, siamo in società, solo in virtù del nostro essere morali.

Per Bauman solitamente si incontra l’altro “non come persona”: Bauman usa il termine “persona” nel senso in cui viene usato dall’interazionismo simbolico, per cui il concetto di persona è inteso nel senso di una maschera che ricopre un ruolo. L’identità di ogni individuo è la somma di tutti i ruoli che copre, per questo si parla solo di persone, cioè di attori che ricoprono ruoli. L’atto morale ci permette di incontrare l’altro non come persona/maschera, ma come volto, cioè nella sua vera identità e non nel ruolo. Con l’atto morale mi consegno a una debolezza assoluta (l’atto morale è l’antitesi del potere o della sua logica, che è forza) perché riconosco all’altro la possibilità di comandarmi, accetto di consegnarmi a lui.

Il paradosso della morale per Bauman è che da un lato crea disordine, dall’altro è necessario come atto fondante della società (senza l’impulso di aprirsi all’altro non ci sarebbero le relazioni sociali). Tuttavia, essendo l’impulso della morale irrazionale e libero, è in antitesi all’ordine sociale, e pertanto la morale rischia di non avere molto spazio in una società sempre più complessa che ha bisogno di regole sempre più sofisticate.

Quindi l’aikido è morale…